Più che acqua, eroga debiti e quando può, investe le entrate delle utenze nei famigerati “Fondi derivati”. L'Acquedotto lucano SpA ha sottoscritto, con la BNL e con il San Paolo Banco di Napoli, titoli derivati per un totale di 29 milioni di euro di “valore nozionale”. Il primo contratto scade a dicembre del 2017 (ha un residuo di 112.526 euro), il secondo nel 2023 (ha un residuo di 2.274.330 euro).
È facile investire nei titoli spazzatura quando i soldi non escono dalla propria tasca, quando il dirigente non corre rischi personali e quando lo stesso ruolo di dirigente di un ente pubblico partecipato non è sudato, ma è dovuto a una legge, la 127 del 1997, meglio nota come “Bassanini Bis”. Legge che dà ampie discrezionalità ai governatori di Regioni e ai Presidenti del Consiglio: andrà riformata, quando il M5S sarà forza di governo, perché è una disposizione nata per fornire competenze tecniche allo Stato, ma al solito è finita per alimentare clientele, poltrone e debiti.
I debiti dell'Acquedotto lucano ammontano a più di 192 milioni di euro (bilancio 2015)! Tra titoli derivati e derive gestionali, la situazione debitoria di A.L. è impressionante, a partire dal numero dei dipendenti, 378, che costano 18 milioni di euro all'anno. Dei quali ci piacerebbe sapere i rapporti di forza tra il numero dei dirigenti e quello dei tecnici, visto che negli anni, per sopperire all'indebitamento, anziché ridurre gli sprechi, vietare le speculazioni finanziarie e, magari, mettere in efficienza le condotte, i dirigenti che devono ringraziare quel gran genio di Bassanini, in Basilicata hanno preferito togliere gli uffici periferici, creando disservizi non facili da superare ai cittadini, in una regione che è priva di trasporto pubblico e quello privato è insufficiente.
Del totale di 192 milioni di euro, 32 milioni sono i debiti verso le banche, 3 milioni verso aziende controllate, 10 verso la Regione, 1,5 verso istituti previdenziali, 2 verso i dipendenti e circa 20 milioni di euro sotto la voce “altri debiti” (sottobosco politico?). È anche interessante l'aumento del ricorso finanziario alla Sace, società di proprietà di Cassa depositi e prestiti, perché le banche hanno chiuso il conto corrente di Acquedotto lucano e si rifiutano di accettare, come pegno, le cessioni dei crediti che vanta l'ente pubblico partecipato.
I crediti, infatti, ammonterebbero a 163 milioni di euro, di cui 38 dovuti dalla Regione (altro sottobosco politico?), più 33 milioni di euro provenienti da esercizi precedenti, per immobilizzazioni immateriali e materiali, nonostante l'ente debba operare con fondi di esclusiva provenienza pubblica.
Buona parte di questi crediti, però, sembrerebbero conteggiati al solo scopo di far quadrare il bilancio, non essendo credibile, ad esempio, che l'ente idrico regionale vanti più di 56 milioni di euro dagli utenti lucani: possibile che nessuna famiglia lucana abbia pagato nel 2015 la bolletta idrica?
Vito Petrocelli, M5S Senato della Repubblica
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